Al Bolzano Festival 2019 trionfano le orchestre giovanili. Abbiamo sentito quella nazionale della Cina, con un ospite illustre: il pianista Garrick Ohlsson.
Adoro le orchestre giovanili, per la loro freschezza, per l'entusiasmo, per la gioia di fare musica che trapela dalle loro performances. Se poi sono veramente brave, non si può desiderare di più.
Al Bolzano Festival 2019, due giorni dopo dell'European Union Youth Orchestra (il 9 agosto 2019), ed in attesa della Gustav Mahler Jugendorchester, ecco salire sul palcoscenico del Teatro Comunale un'ultima nata - la National Youth Orchestra of China - impegnata in un breve tour europeo.
La musica come fondamento culturale
La Cina è un paese immenso, dove l'educazione musicale è la norma, sin da piccoli. E lo studio della musica classica occidentale, così alimentata sforna talenti su talenti: Lang Lang docet. Nel 2016 si son scelti, attraverso selezioni competitive, un centinaio di giovani d'età compresa tra i 14 ed i 21 anni per fondare un'orchestra giovanile nazionale, offrendole la possibilità di esibirsi in patria ed all'estero con direttori e solisti di prestigio. Come è accaduto qui a Bolzano, dove l'abbiamo vista diretta con grande perizia dal francese Lodovic Morlot, che già l'aveva guidata nel primo tour inaugurale negli USA, nel 2017. Ed accompagnare senza defaillances uno dei maggiori pianisti dei nostri tempi, Garrick Ohlsson.
Esecuzioni irreprensibili, e sono solo ragazzi!
La NYO China suona senza sbavature, precisa in ogni sua sezione, rispondendo senza esitazioni alle sollecitazioni del direttore, ed il suono offerto è pieno e corposo. Ed è palese che i suoi componenti sprizzano felicità nel suonare insieme, e nel girare il mondo.
Il programma bolzanino è alquanto impegnativo: se i due brani di Ye Xiaogang – Sunlight in Mount Panshan e Twilight at Beitang da The Tinjian Suite (2016), intrisi di temi tradizionali - possiedono una piacevolezza in fondo solo esteriore, pur essendo medium ideale per mettere in luce le qualità dei componenti d'una compagine folta e variegata, con la Quinta Sinfonia di Šostakovič il discorso cambia. Ripiegamento dell'autore verso un sinfonismo tardo romantico fuori tempo per rispondere alle critiche ricevute - suscitando però il sospetto d'una celata parodia del regime musicale imposto dai Soviet – è una partitura complessa e multiforme, che richiede un notevole approfondimento esecutivo. Cosa che i ragazzi cinesi hanno dimostrato di possedere appieno meritandosi alla fine, insieme al loro efficiente direttore, caldi e generosi applausi.
Entra in scena un gigante (in ogni senso) del pianoforte
Alleggerito l'organico, entra in scena Garrick Ohlsson, pianista dalle mani smisurate, capaci di raggiungere estensioni di dodicesime, e dal repertorio abnorme. Un'ottantina sono i concerti annotati in carnet, ed ha inciso tantissimo. Per esempio tutto Chopin, tutto Scriabin, tutto Beethoven: ed è qui proprio per quel suo Quinto Concerto op.73, che è qui. Lo esegue, va da sé, con olimpica nonchalance, accompagnato con lievità e precisione da Morlot e dalla NYO. Colpisce come metta la sordina agli aspetti monumentali di una partitura grandiosa e dai tratti epici, smussandone gli angoli ed addolcendo i suoni, regalandoci una lettura risplendente e gioiosa che recupera in qualche modo il caldo sapore biedermeier dei primi tre concerti beethoveniani.
Anche qui, applausi a non finire, da standing ovation. Tanto che il pianista newyorchese concede come bis una rapinosa esecuzione del Preludio in do diesis minore di Rachmaninov.